Archivio degli articoli con tag: Lisa Roscioni

Programma “Humanities. Formazione, tutela, innovazione”

link ufficiale del convegno: http://dialoguesabouthumanities.wordpress.com/2012/03/26/programma-del-convegno/

Abstract: Obiettivo del panel è quello di mettere a confronto il dibattito nazionale e internazionale sull’insegnamento universitario delle Humanities  e sul loro declino in relazione non soltanto alle politiche di drastica restrizione di finanziamenti, ma anche e soprattutto ai temi dell’innovazione, dei rapporti tra economia e cultura, impresa e ricerca universitaria, della formazione della classe dirigente nel quadro politico e sociale attuale.

Panel project: The panel’s objective is to discuss the national and international debate on university teaching of the Humanities and their decline, not only with regard to policies that create drastic cutbacks in funding, but also and above all concerning themes of innovation, relationships between economy and culture, business and university research, and the education of the managerial class in the current political and social context.

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Più notizie in una. In primo luogo Repubblica passa l’incarico di ufficio stampa-ombra del MIUR da Riccardo Luna (reputazione dilapidata) a Maria Novella De Luca. In secondo luogo: sempre lì siamo. Marketing politico e aziendale in luogo di giornalismo. La buona scuola è un esempio di distorsione o manipolazione praticata attorno a una non-notizia (*). Ancora il liceo scientifico ITIS Ettore Majorana di Brindisi, ancora la narrazione edificante del preside. I ragazzi che hanno rinunciato a comprare i manuali, hanno “investito” in computer, hanno “alfabetizzato” i nonni. Luna ci aveva già raccontato la storia. Con gli stessi accenti stupefatti e devozionali, le stesse perorazioni e la moralità “fai-da-te” dettata dalle convinzioni ministeriali. Profumo non è solo aleggiante attorno al testo: è inevitabilmente nominato. Ma in realtà è più che lupus in fabula: è facilmente riconoscibile come l’ideologo-dietro-la-velina (**).

Per chi ricorda la prima apparizione Tv dell’attuale ministro dell’istruzione e della ricerca, mesi fa a Otto e mezzo, non sarà difficile recuperare l’ingiunzione: gli insegnanti, ammise allora Profumo, Lilli nel ruolo di grazioso compotier, dovevano ritrovare “autostima”. Neoliberista o tecnocrate qual è, Profumo sa bene come il riconoscimento sociale passi, in una società retta da principi di market capitalism, per il denaro. Dunque perfino Lilli, sbigottita, chiese se l’aumento delle retribuzioni non dovesse essere la prima misura sulla via dell’”autostima”. Con ritrosa cortesia, Profumo si affrettò a negare: invece ammannì l’apologo del maestro in una società (curiosamente presentata come) arcaica come quella giapponese – lui che ha vissuto in Giappone per circa un anno – e della povertà adorna di deferente timore. Era questo, comprendemmo allora, il modello di “buona scuola” del ministro: questo Giappone un po’ tascabile Bignami, un po’ madamina Butterfly in cui il canuto pedagogo, magro, minuto e di gran barba, muore di freddo e inedia tra lacrimanti ex allievi. Persuaso come sono che Profumo non abbia titolo, mandato, attitudine, visione, abilità, fascino o credibilità etc. per proporsi di ripristinare l’”autostima” in chicchessia; e posto che la semplice formulazione del proposito mi è sembrata, prima ancora che ipocrita, arrogante e inopportuna; sbigottisco oggi a leggere che, tra le “parole d’ordine” della “nuova” scuola c’è, decisiva, fundraising. Cito: “la raccolta fondi [è necessaria] perché il ministero non eroga più nulla: bandi, sponsor, contributi familiari”. La cosa diviene improvvisamente chiara: se esiste una strategia ministeriale per la scuola, è quella della starvation – la “morte per fame”. Ma, avrebbe opposto il defenestrato Luna, non è bene essere pessimisti. Possiamo invece abbondare con exempla miracolistici. Che accade nella “nuova” scuola, montessoriana e stevejobsiana al tempo stesso, svuotata di cattedre e ricolma di lavagne digitali, client di multinazionali dell’elettronica e al tempo stesso formidabile “laboratorio” di “innovazione” sociale, anzi presidio di assistenza? Lo svela Marco Barozzi “educatore e fotografo” nell’intervista all’intrepida De Luca. “Appena arrivato mi hanno chiesto di occuparmi di tre ragazzi difficilissimi… arrabbiati con il mondo e con la vita, violenti… Attraverso il laboratorio di fotografia si è creato un contatto, una confidenza, che a poco a poco ha vinto le loro diffidenze e sgretolato il muro. Oggi siamo amici e loro sono ragazzi sereni”. Il racconto della rude storia di vita a lieto fine intreccia preterintenzionalmente Clint Eastwood e Steven Spielberg, rieducazioni da periferia deindustriale e visitazioni di specie aliene. Ma l’insegnamento è chiaro: basta iPhoto, in definitiva, o una lavagna digitale per risolvere disturbi dell’accudimento e patologie borderline. Leggi il seguito di questo post »

Open Call for Registration. Formazione, tutela, innovazione nelle Humanities, Istituto editoriale Treccani, 20.4.2012 Leggi il seguito di questo post »

L’intervento di Agostino Giovagnoli su Repubblica (*), dedicato al hot topic delle Humanities, è qualcosa di cui non si sentiva in nessun caso il bisogno. Spieghiamo perché.

Disciplinato e deferente, in parte a ruota di altri interventi più tempestivi e mirati (**), esemplifica la difficoltà di parte del ceto accademico italiano a misurarsi appieno con le questioni istituzionali e sociali oggi in gioco. Con la mera, triste prudenza non ci si toglie dall’angolo in cui si è stati relegati nei più recenti decenni da iniziative politiche e legislative stabilmente in mano a “decisori” ostili o indifferenti. Avremmo bisogno di tutt’altro: in primo luogo di  voci qualificate e indipendenti determinate a portare il dibattito nel campo avverso, segnalando incoerenze, impasse o distorsioni del processo di riforma; pronte a riconoscere il pessimo compromesso tra orientamenti corporate e orientamenti neoclericali caratterizzante l’attuale discussione politico-culturale.

Quale mai sarà il ruolo della libera intelligenza nei futuri dipartimenti; dell’outsider di talento, del ricercatore early career? E come potrà mai coniugarsi, in un paese articolato e molteplice come l’Italia, l'”innovazione” market-oriented e la restaurazione identitaria? Queste le domande; perché questa la posta. Lungi dal nominare temi e problemi, come pure sarebbe suo compito, Giovagnoli, laureatosi in filosofia all’università della Sapienza e docente di storia contemporanea all’università Cattolica, adotta posizioni concilianti. “Nel complesso”, rassicura, “il mondo degli studi umanistici sta accettando la sfida della valutazione…. [Esiste] la speranza che la serietà e il rigore possano aiutare il rilancio di una tradizione tanto importante in Italia.”

Chi scrive è a favore di una competizione accademica feroce. Dunque, in linea teorica, pronto a sostenere processi generalizzati di valutazione della ricerca e principi di avanzamento e retribuzione su base esclusiva di competenza e merito: né affiliazione né anagrafe. Possiamo perciò considerarci paghi di “speranze”? Attendere fiduciosamente prebende? Crediamo sia invece opportuno e persino doveroso, da parte di quanti avvertono il pericolo di una restrizione istituzionale dell’offerta di competenze complesse, sforzarsi di avere parte attiva nel negoziato politico che ha al centro le sorti dell’università e la composizione sociale e culturale della ricerca. Affermare, come Giovagnoli afferma nell’articolo considerato, che le recenti dichiarazioni di Sergio Benedetto mostrano “attenzione e rispetto” per le discipline umanistiche significa ignorare, forse per calcolo fallace, la scarsa preparazione di membri tra i più influenti dell’ANVUR a riconoscere differenti ontologie disciplinari e specificità di processi o “stili” cognitivi (***).

Occorre avviare un’archeologia politica del processo di riforma degli istituti di alta formazione. Sviluppare cartografie inedite dei disegni di egemonia. Rivelare inconsistenza o approssimazione, se e quando tali, nei territori della pompa “decisionistica” e dell’ufficialità. Corrispondere alle sfide politiche e culturali è un atto immaginativo e progettuale insieme. Equivale a verificare in concreto la plasticità delle competenze umanistiche e muovere decisamente oltre archivi e repertori altrimenti logori o chiusi. Leggi il seguito di questo post »

di Lisa Roscioni

“Una scuola all’avanguardia dove gran parte del sapere va e viene sulla linea del computer”: così è stato definito il liceo scientifico-tecnologico Majorana di Brindisi nel corso di un servizio andato in onda domenica 20 febbraio nello Speciale TG1. Il ministro Profumo era presente in studio e ha così potuto commentare, sotto le domande incalzanti della giornalista Monica Maggioni, già embedded in Iraq e in quota al centrodestra, le mirabilia prodotte da questa scuola del Sud (1). Un strano Sud, quello illustrato nel servizio, un Sud non soltanto terra di disagio – ha tenuto a specificare Maggioni – ma anche, di “eccellenza”. Da quel liceo di Brindisi partirebbe infatti, secondo il curatore del servizio, “una rivoluzione che potrebbe mettere sottosopra il sistema scolastico italiano”. E’ una realtà che il ministro già conosce. L’aveva già citata nel corso di un’intervista rilasciata a Repubblica qualche giorno fa (2).  Ora, attraverso questa nuova intervista, è forse possibile capire meglio il senso delle sue dichiarazioni.

Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta. Secondo quanto ci racconta il preside del liceo brindisino, Salvatore Giuliano, lo scopo era quello di mettere gli studenti in condizione di “alfabetizzarsi”, ovviamente  dal punto di vista tecnologico e digitale, per mettersi al passo con i tempi, per apprendere meglio e, come ha aggiunto un docente del liceo, “con più rigore”. In concreto, le aule dispongono di lavagne multimediali dove i docenti caricano i contenuti delle loro lezioni, che possono essere fruite anche dai ragazzi a casa, quando sono assenti, o da altri alunni in altre scuole. Docenti e studenti sono inoltre provvisti di un badge, che permette di controllare assenze e presenze. Un sms informa subito i genitori dei voti presi durante compiti e interrogazioni, che avvengono attraverso un “risponditore” di cui ogni alunno è munito (proprio come in un quiz televisivo). Ma, si domanda il curatore del servizio, con tutti i tagli che ci sono stati, come ha fatto la scuola a finanziare un apparato tecnologico che permette lezioni multimediali, collegamenti in diretta con altre scuole, università e centri di ricerca? Semplice, risponde il preside. E’ un progetto che si autofinanzia: a fronte di una dotazione libraria che normalmente costa, per le prime classi della scuola superiore, intorno ai 350-400 euro, “noi con 35 euro diamo tutti i volumi”.  “Cosa ho fatto, allora?” – prosegue il preside – “Ho convocato le famiglie e ho detto: signori, questo risparmio di spesa sui libri di testo volete investirlo in tecnologia? Sono stati tutti d’accordo e le famiglie hanno acquistato la tecnologia”. E per i libri, quelli dell’editoria tradizionale, nessuno ha protestato, ha domandato timidamente la Maggioni?  Il preside ha risposto che tutto era lecito e consentito dall’autonomia scolastica. I libri per soli 35 euro sono libri “in progress”, scritti collettivamente da una rete di ottocento docenti, presidi e “altre professionalità” sparsi in tutta Italia e sono libri di tutti, naturalmente di tutti coloro che aderiscono al progetto. Leggi il seguito di questo post »

di Michele Dantini, Claudio Giunta, Tomaso Montanari e Lisa Roscioni

E’ possibile che il ministro Francesco Profumo non colga l’eco come di minaccia che si accompagna alle sue parole. Siamo certi che parte dell’inconveniente è anzi un esito indesiderato dell’intervista (*). Certo alcune sue affermazioni suonano, se non inopportune e irrispettose, quantomeno sorprendenti. Difficile, ad esempio, non interrogarsi sull’aneddoto di virtù che il ministro raccomanda di seguire: “qualche giorno fa ero al Sud”, racconta Profumo, “dove i libri di testo sono stati sostituiti da un libro che docenti e studenti realizzano assieme, destinando all’acquisto dei computer i soldi risparmiati”. Dobbiamo desumere che un ministro della Repubblica incoraggia a non acquistare libri di testo e a farsene di propri attraverso pratiche di cut-and-paste? Non ci preoccupa, in questo contesto, l’infrazione di una legge internazionale sul copyright, piuttosto la scarsa considerazione degli effetti di simili pratiche sui processi di apprendimento. Quale fidatezza scientifica e pedagogica potrà avere l’assemblaggio di brani eterogenei in assenza di responsabilità editoriale, cura scientifica e condivisione di indirizzo tra autori del tutto diversi? Supponiamo peraltro che la differenza tra testo e playlist cada, se cade, anche per gli studenti di comunicazione digitale, chimica industriale o, poniamo, neurochirurgia. Possiamo suggerire loro di gettare la manualistica autorevole e qualificata disponibile sul mercato? O il suggerimento non vale nelle aule di medicina e ingegneria? Al netto delle retoriche sull’”umile Italia” e le virtù del risparmio, l’aneddoto del ministro colpisce per quello che può apparire un habitus di distorsione (i computer non costano quanto un manuale: non esiste raffronto tra le due fasce di prezzo. E pensiamo davvero che una volta acquistati i computer, gli studenti vadano a casa “a insegnare internet a genitori e nonni”?) e la nozione di “spreco” che si contribuisce a consolidare (semplicemente: “spreco” è tutto ciò che, entro un processo cognitivo non meccanico, distingue attitudini di esplorazione e scoperta). Ma esiste un secondo passaggio, nell’intervista, non meno sconcertante. A seguito dell’introduzione di mirabilia digitali come lavagne e tablet, leggiamo, “il rapporto docente-discente si rovescerà e tutti potranno uscire dal microcosmo della classe per incontrare il mondo attraverso la Rete”. Che cosa vuol dire? La frase può essere intesa, come verosimilmente merita, come un mero slogan; oppure ha senso corporate in una particolare accezione. Una nuova rivoluzione culturale attende i docenti? Dovranno essere umiliati, rieducati e soppiantati dagli ingegneri e dai loro alleati naturali, gli-Steve-Jobs-adolescenti-nel-garage-di-casa? Possibile. Leggi il seguito di questo post »